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venerdì 7 settembre 2007

Candele per Maria di Heinrich Boll (parte II)

La storia è dominata dalla presenza della miseria e dal fantasma della guerra. Eppure il Paese andava riacquistando un suo profilo tecnologico-industriale, a mio avviso in Candele simboleggiato dall’elettrificazione; a sua volta simbolo d’ordine, efficienza ecc. Delle semplici candele non potevano reggere il confronto. Erano il reperto di un’antica era religiosa: candele appunto per Maria, la Madonna. Ora, Boll era per il progresso come chiunque. E rifiutava una religione fatta di riti e che escludesse il cuore e la mente. Così, si opponeva ad un uso di tecnologia e religione che non fossero per l’uomo e diventassero dei feticci.
Forse anche per questi motivi in molte sue opere Boll utilizza poche “cose.” La sua avversione (quasi francescana) per l’abbondanza, soprattutto verso quella che degenera nello spreco e nell’esibizione di ricchezza, lo porta a concentrarsi su ciò che è comune, anche ordinario: come in Candele il pane, certi silenzi, un sorriso, qualche sedia. Poche e povere cose ma che egli non idealizza: nessuna retorica della miseria, in Boll. Tuttavia in un Paese distrutto dalla guerra erano quelle, le cose importanti. In contrasto con questo, estremo realismo, non capiamo mai l’anno o le città in cui il venditore cerchi di tirare avanti; non veniamo a sapere neanche il suo nome, quello di sua moglie o d’altri personaggi.
Sappiamo solo che ci troviamo in Germania, pochi anni dopo il disastro. Senza questi 2 dati, confineremmo Candele nell’ambito del sogno o dell’incubo. Ma l’A. ci fornisce quei dati, come se volesse dirci: attenti, questa è la realtà. Una realtà priva di confini spaziotemporali precisi ma non per questo meno reale; inoltre, per me la mancanza di quei confini ne accentua la drammaticità. Infatti il racconto si svolge in uno spazio ed in 1 tempo reali, ma non caratterizzandoli Boll in modo particolare, sembra che ci narri un dopoguerra “infinito”; in una Germania che sembra condannata a vivere in 1 tempo statico ed intriso di dolore. Ora, caratteristiche dell’Inferno sono tempo senza fine ed eterno dolore. Il silenzio sul nome dei personaggi sembra suggerire una loro mancanza di identità. Del resto, per certi i dannati sono appunto anime senza nome o comunque degne solo d’oblio.
Ma Candele presenta sentimenti ed emozioni di questa che non è “perduta gente”: l’ostessa che sbagliandoli, deve rifare + volte i conti, risultando così simpatica al venditore; la coppia che vive l’amore, pur in preda a vergogna ed a sensi di colpa; lo stesso venditore che abita la sua povertà senza amputare il proprio senso morale. Tutti loro sono umani nel sottrarsi all’ipocrisia ed alla freddezza. Se perciò quella Germania è 1 Inferno, vi si trovano loro malgrado. Non sono dei santi, certo: sono persone che fanno quel che possono con onestà. Del resto, la religione di Boll è per la povera gente, penso simboleggiata dalla Madonna con Bambino che troviamo a fine storia. La statua di Maria è rovinata e di Gesù la Madre stringe fra le braccia solo “la nuca e una parte dei piedi”; come una madre che voglia salvare i resti del figlio centrato da una bomba? Ma il finale di Candele (che non vi rivelo) sembra dirci che c’è speranza: una speranza però a misura d’uomo, priva di trionfalismi.

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