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lunedì 30 luglio 2007

Spazio ai Lettori - n° 4 del 2007

Brani tratti da commenti particolarmente significativi o che si prestano ad ulteriori interventi da parte di coloro i quali vorranno interagire e approfondire i temi trattati. Un click sul titolo dell’articolo Vi condurrà ai testi integrali e Vi consentirà di inserire il Vostro pensiero.



Grazie a tutti Voi.

domenica 15 luglio 2007
Spazio ai Lettori - n° 3 del 2007

Ex bambina ha detto...
Sono una di "quei bambini" cresciuta troppo in fretta, perchè il tempo è sempre stato ed è nella mia vita-ieri come oggi-un tassello un po' astratto, sfuggente e troppo veloce per riuscire a stare al suo inesorabile passo....


sabato 21 luglio 2007
Il mio viso sbagliato

Lorenzo ha detto...
Pensare positivo non significa cancellare i problemi o risolverli in via generale o soffocare il proprio senso critico; significa analizzare profondamente i problemi con la consapevolezza e la volontà di affrontarli da protagonisti e ricercatori di elementi positivi che portino a una loro soluzione o a una convivenza indolore col nostro essere e sentire.


mercoledì 25 luglio 2007
Fantascienza scaduta o in scadenza

Ciack ha detto...
Vorrei esordire facendo notare come il termine fantascienza sia spesso usato decisamente fuori tema perdendo di vista la composizione stessa della parola. Fanta+Scienza implica che protagonista è la scienza. Il Frankenstein di Shelley(1818), i romanzi di Verne furono i primi veri romanzi di fanta+scienza.


sabato 28 luglio 2007
Noi, i nostri bambini ed i bambini che siamo stati (2)

Spiegel ha detto...
Il rispetto deve essere aprioristico. Io ti rispetto in quanto persona, in quanto individuo, a prescindere dal fatto che io possa provare o meno stima nei tuoi confronti. Questo educa a rispettare le persone e le loro idee anche se non le condividiamo, educa ad avere rispetto anche verso un condannato a morte, in quanto persona, anche se non possiamo stimare lui e le sue azioni; educa a rispettare chi professa religioni diverse dalla nostra anche se non stimiamo quella religione.

Lorenzo ha detto...
……il discorso sul rispetto, pur in assenza di stima, dovrebbe valere anche da parte dei figli nei confronti dei genitori, cosa tutt'altro che scontata…………

sabato 28 luglio 2007

Noi, i nostri bambini ed i bambini che siamo stati (2)

In perfetta continuità con la mia infanzia, per me è ancora fondamentale il rispetto; lo è proprio nel senso di ciò che dà fondamento, sta alla base di qualcosa. Per me, nei rapporti umani il rispetto è tutto; spesso gli si oppone l’amore trovandolo “più caldo.” Ora, nel 1° post “bambini” ho detto che considero l’amore la cosa + bella, tuttavia penso che non possa prescindere appunto dal rispetto: perché senza di esso l’amore è tirannia. I genitori commettono questo errore col loro “lo faccio per il tuo bene.” Ma un bene che passi sulla testa dei figli, senza che i genitori permettano che sia compreso ed accettato, vale poco.
Ho sempre rifiutato questa concezione del rispetto perché lo trasforma in sottomissione. Spesso in molte famiglie (compresa la mia) l’educazione avveniva su base quasi militare, non di rado unita ad un uso colpevolizzante della religione. L’idea, quindi, di rispetto era… bizzarra. Rimaneva l’amore: che non era certo poco. Ma l’idea di fondo era quasi sempre quella della famiglia come gerarchia. Sono tuttavia grato ai miei perché vivendo con loro ho iniziato a sperimentare una certa dialettica. Chi come me si avvia ai 50, sa che nelle nostre famiglie questa era la regola.
Io cerco d’applicare un altro metodo. Poiché mi offendeva profondamente che quando parlavano i “grandi” mi fosse imposto il silenzio, non faccio altrettanto con mio figlio. Comunque, da bambino mi offendeva che quell’imposizione avvenisse a priori, solo perché non ero un adulto.
Ora, “rispetto”: abbiamo il latino respectum da respicere (volgersi a guardare, rivolgere l’attenzione). Il rispetto comporta quindi stima, considerazione verso qualcosa o qualcuno: non è uno sguardo indifferente, come se non vedessimo nemmeno l’altro. I francesi dicono quantitè negligèable, quantità trascurabile. Purtroppo, per molti l’altro è questo: quantità, appartiene quindi al dominio della materia inerte o inanimata; non è persona ma cosa che come tale, non gode d’alcun diritto. Noi per es. cosalizziamo il bambino quando pretendiamo che smetta di giocare. Sì, spesso questo è necessario perché sui genitori pesano spade di Damocle lavorative, personali, interpersonali ecc., ed i piccoli Sioux che fanno tremare la casa, fanno saltare i nervi. Ma si può trovare il modo per pacificare il West domestico; si deve almeno tentare.
Comunque, per me è importante far capire al bambino che conta: questo anche prescindendo dal fatto che un genitore non giochi con lui. Con me mio padre giocava poco ma non c’era problema; avevo gli amici. Ma con me passeggiava e parlava molto e se in quei casi gli chiedevo qualcosa, non mi chiudeva mai la bocca. Faccio così anch’io coi miei figli; in più gioco molto. Insomma, sono perfetto. Scherzi a parte, il rispetto è la base dell’amore: che altrimenti sarebbe soffocante. Per Hegel anche l’amore deve essere ”intelligente”.
Al prossimo post su questo.

mercoledì 25 luglio 2007

Fantascienza scaduta o in scadenza

Nell’ultimo post sulla fs ho anticipato che considero un male gigantismo ed effetti speciali. Per gigantismo intendo l’uso sproporzionato della tecnica, o la troppa ospitalità offerta appunto ad ospiti che pure, spesso abitano la casa della fs. Per me è gigantismo riempire 1 film di robots, cyborgs, laser, astronavi ecc.: così vien meno la misura. Il film diventa un semplice raccoglitore di meraviglie della scienza e della tecnica e la trama perde centralità. L’attenzione dello spettatore è così calamitata da elementi anche strabilianti: ma che all’interno di una trama hanno funzione secondaria. Quelle “meraviglie” sono utilizzate da registi, sceneggiatori ed attori che si rispettino per raccontare una storia; non sono la storia.
Immaginate che vi servano una bistecca poco cotta, bruciata o addirittura avariata, ma intrisa di salsine, sughetti, cosparsa di spezie, sale, maionese ecc. Sembrerà gustosa ma sarà un paciugo che con la cucina non avrà niente a che fare.
Idem per gli effetti speciali: loro fine è rendere la storia più interessante o anche stupire lo spettatore. Ma quando essi sostituiscono di fatto la trama, al punto che pare che, per es., un nuovo sistema per viaggiare nel tempo possa reggere da solo tutto il film, allora il film diventa secondario rispetto agli effetti, non il contrario. Nessuno pretende che al cinema la fs del XXI secolo rinunci ad ogni apporto tecnologico e regredisca ai mezzi dei fratelli Lumière. Però si può e si deve raccontare una storia avvalendosi della tecnologia in un modo che induca lo spettatore a seguire appunto una storia, non a sgranare gli occhi: quello è il fine di imbonitori e ciarlatani.
Quando ho visto col mio bambino il 1° film dei Fantastici 4 forse mi sono divertito più di lui; il divertimento va benissimo, quando è solo obiettivo dichiarato o evidente. Ma sbadiglio quando certi film (non penso a qualcuno in particolare ma a tutta una tendenza) “fingono” di non essere quel che sono: spettacoli di intrattenimento, benché tecnicamente perfetti.
Così condivido l’opinione dello scrittore polacco Stanislaw Lem sulla fs anglosassone. Per Lem, quella fs sprecava le sue potenzialità, utilizzando la scienza per raccontare delle fiabe. Infatti Lem, dal cui romanzo Solaris Tarkovskij trasse l’omonimo film, apprezzava (benché oscillando) solo Philip Dick e tra gli AA. + antichi, Wells. Secondo Lem, Wells e Dick fondevano scienza ed arte narrativa in un prodotto originale. Peraltro, condannava il gigantismo anche Harrry Harrison, autore di Bill, eroe galattico. Estenderei senz’altro l’opinione di Lem e di Harrison dalla fs letteraria a quella cinematografica.

sabato 21 luglio 2007

Il mio viso sbagliato

Un po’ tutti ci suggeriscono un modo di proporci ottimista, sorridente, insomma “positivo.” Via certi musi lunghi. Via quei silenzi prima di rispondere ad una domanda o a qualche osservazione: sono da asociali o da imbecilli. Via quelle risposte problematiche ed articolate: roba da confusi cronici. Quindi, si risolverebbe tutto in un via generale.
Ma in fondo, questo ottimismo a comando misto a mancanza di dubbi, puzza molto di poliziesco, di militare o almeno di giudiziario: “Risponda alla domanda!”
Conobbi questa mentalità già all’università, quando ad una domanda sulla Vera religione di S. Agostino risposi collegandomi a certi Greci (i neoplatonici), al che il docente: “Stia al testo.” Stia al testo? Ma parlare di quel testo senza rifarsi a quei Greci, sarebbe come parlare di un coltello fingendo che non abbia la lama.
Non dico che dobbiamo avere delle facce da funerale o rispondere a domande ed osservazioni tenendo delle conferenze, ma forse la realtà è un tantino complicata e non molto allegra. O no? Ma sento già la raffica di quesiti (debitamente protocollati): “Che significa “forse”, stia al testo! Un tantino, non molto? Ma quanto è complicata e poco allegra, la vita? Sia preciso!”
Nel racconto di Heinrich Boll La mia faccia triste il protagonista becca 10 anni di galera proprio per la sua faccia triste. 5 anni prima ne aveva beccati 5 per “faccia allegra”. Ecco, io mi sento spesso come quel poveraccio. Ovunque gente che sa quando essere triste, allegra o nessuna delle due, uomini e donne (ma non saranno robots?) che sanno a chi parlare, come e di che cosa.
Io sto da 22 anni con la donna che è mia moglie e con lei continuo a fare delle gaffes pazzesche. Guardo verso l’orizzonte ma a pochi passi dai miei 45 anni, ancora non so “orizzontarmi.” Fisso queste mani sporche d’inchiostro ma i miei calli mentali non fanno di me una persona saggia, intelligente o almeno in possesso di qualche grammo di buon senso. Cerco di migliorare, ma con calma. Ho un viso sbagliato che però a me piace molto.

mercoledì 18 luglio 2007

Il rock delle acque chiare

Penso d’aver chiarito in Brutti, sporchi e rockettari come il mio attacco alla formula sex, drugs and rock ‘n roll fosse motivato da vero interesse appunto per il rock. Fa parte di tale interesse anche la mia avversione per continui, interminabili assoli di chitarra. Springsteen ha affermato che proprio quelli, a fine anni ’60 gli fecero perdere interesse per la chitarra. Little Steven che trovo notevole anche come chitarrista solista, ha dichiarato con la sua adorabile sfrontatezza che suona la 6 corde come se fosse una batteria. Senza Keith Richards, il + grande chitarrista ritmico della storia del rock, gli Stones sarebbero stati un gruppo tra tanti. Insomma, per me il r ‘n r è soprattutto 1 fatto ritmico; quando poi parte un bell’assolo di chitarra, è come 1 jet che mangiandosi la pista si prepari a staccarsi da terra: grande. Ma quell’assolo deve far parte di tutta una costruzione ritmico-melodica. Per dondolare e rotolare, rockin’ and rollin’ bisogna prima costruire un pavimento o un letto solido.
Non ho mai suonato la chitarra: servivano talento, tempo, pazienza. Io avevo solo tempo… che utilizzavo cantando, suonando l’armonica oppure sprecavo al bar. Mia moglie ricorda ancora quei tempi; direi con 1 certo disappunto. Tuttavia, i chitarristi della mia band ed anche altri la pensano come me: nel rock vale il ritmo. Gli assoli sono come il tetto in una casa; ma se mancano le fondamenta, la casa crolla. E le fondamenta sono un buon basso, una batteria che dia il tempo anche al Cielo, una chitarra ritmica dal riff preciso-deciso, una voce potente ma non caricata.
Gruppi come Beatles, R. Stones, Who e Creedence avevano quelle caratteristiche, ecco perché certe loro canzoni potevano anche non piacere, ma lasciavano comunque l’impressione di qualcosa di solido. Distinguiamo pure tra il periodo amburghese dei Beatles, quello fino alla tournèe americana, via via fino all’era hippy, sino all’abbandono di Lennon ed allo scioglimento, tuttavia i Beatles sono sempre stati un gruppo compatto. Idem per gli Stones: sì, tra fine anni ’70 e metà ’80 hanno fatto tante scemenze, ma dal vivo, chi come loro? Gli Who erano 1 inno al ritmo, anche al + violento. Per me, ritmo e Who sono sinonimi.
Per Jerry Rubin ed altri i Creedence erano bubble-gum music: tipico pregiudizio di un “intellettuale” (poi agente di borsa a Wall Street!) che pretendeva che i Grateful Dead avessero lo stesso successo di Fogerty & co. Ma io non riesco ad immaginare un ragazzo che torna a casa dal lavoro, poi preparandosi per uscire o per andare a prendere la sua ragazza metta su i G. Dead. Questo a fine anni ’60, ad inizio ’70 e sempre. Come vedremo nel prossimo post sul rock, la Credenza nel ritorno delle acque chiare (Creedence clearwater revival) non ha mai abbandonato quello e tanti altri ragazzi.

domenica 15 luglio 2007

Spazio ai Lettori - n° 3 del 2007


Brani tratti da commenti particolarmente significativi o che si prestano ad ulteriori interventi da parte di coloro i quali vorranno interagire e approfondire i temi trattati. Un click sul titolo dell’articolo Vi condurrà ai testi integrali e Vi consentirà di inserire il Vostro pensiero.

Grazie a tutti Voi.



lunedì 2 luglio 2007
Le maschere degli scrittori

Fans di P.Adams ha detto...
Nella vita non tutto può essere raccontato senza un briciolo di "finzione" e fantasia , se così si può dire...Sono a favore delle maschere "buone" quelle che noi adulti usiamo per fare del bene, per raccontare ed esorcizzare piccoli o grandi problemi, mascherando il disagio di chi soffre, spesso di piccole creature che sono i nostri bambini e regalando loro amicizia , sorrisi, gioia.

Mary per fans di p.ADAMS ha detto...
Anch'io penso che nella vita sia necessario, se non indispensabile, indossare una maschera sopratutto in alcuni momenti...

Terapista ha detto...
Tocco con mano che spesso, più di tante metodiche, valgono i sorrisi, magari un paio di orecchie che sanno ascoltare e una mano che stringe la loro!

Educatrice ha detto...
I bambini crescono in fretta e quando qualche genitore trova il tempo per giocare con loro, è troppo tardi, perchè nel frattempo sono diventati adulti!

mercoledì 4 luglio 2007
Brutti, sporchi e rockettari

DoreSol ha detto...
Ho visitato l'argomento musica. Devo salutarti come vecchio rocker dai capelli (quasi) bianchi o come samurai del rock ‘n roll?

lunedì 9 luglio 2007
Noi, i nostri bambini ed i bambini che siamo stati (1)

Arnaldo ha detto...
….la prima mia composizione poetica, nacque quando avevo sette anni. Mio padre ricordava esattamente le canzoni in lingua sarda. E le cantava a me e ai miei fratelli…

mercoledì 11 luglio 2007

La fantascienza da consumarsi sempre

Di rado al cinema vedo della buona fantascienza (d’ora in poi fs). Ho letto e leggo quintali di fs ma quando si tratta di films, mi si spengono le luci. E non si tratta delle luci che si spengono in sala al momento della proiezione, bensì della noia che provo quando cerco di seguire certe pellicole. Questo per 2 motivi: il gigantismo e gli effetti speciali. Ora, la fs sogna o racconta una realtà in cui la scienza ha trasformato, nel bene o nel male il mondo e gli uomini.
Ma perché il tutto sia accettabile, deve essere (come sosteneva Aristotele) verosimile. E’ verosimile che in un futuro più o meno lontano, la scienza e la tecnica riusciranno a cambiare mondo ed esseri umani. Già oggi esiste qualcosa come internet che neanche 20 anni fa era impensabile. Il solo fatto che grazie alla rete si sia in linea (quasi) con tutto il mondo, è incredibile. Certo, presto tutti i fondi librari, archivistici ecc. potranno essere digitalizzati. Quelli che non dovessero esserlo, risulterebbero mai esistiti. Pensate: intere religioni, tecniche, filosofie. Intere epoche e popoli. Tanta parte della Storia cancellata. Tuttavia, ciò è verosimile: non è assurdo. Può accadere.
Ma secondo me gli ultimi films in cui la fs era verosimile sono stati Solaris di Tarkovskij, 2001: Odissea nello spazio di Kubrick, Blade runner di Ridley Scott, Il quinto elemento di Besson e A.I. di Spielberg. In quei films scienza e tecnica si sposavano con la trama, non l’annullavano. Anzi, spesso in essi la fs stimolava riflessioni filosofiche, se non teologiche. L’androide bambino di A. I. non si sentiva automa ma persona e come bambino era pieno di tenerezza e di nostalgia per la madre umana. Si sentono umani anche gli androidi di Blade runner e si interrogano sul senso della vita, sulla morte, sul Nulla. Il Quinto elemento è l’amore. In Solaris le angosce ed i desideri dell’ufficiale che guida la missione riportano in vita la moglie suicida. In 2001 un computer che si sente più che umano, stermina i membri dell’astronave Discovery; sarà poi ucciso (disattivato) dal solo superstite.
Ma dopo questi films, il buio. Però ein moment: non dico che un film di fs debba essere un seminario di filosofia; non ho niente contro films in cui compaiano robot, laser, cyborgs ed astronavi. Se vuoi solo divertirti vanno bene anche Guerre stellari o Terminator. Il che per me equivale a bere un buon mirto… con 1 estraneo. Inoltre, il punto è la misura, data dalla trama. E’ un po’ come un film porno: che a letto ci si dia da fare, è ovvio; però trovo ridicoli (non immorali) quei films in cui i protagonisti non fanno altro… che farlo.
Nel prossimo post sul cinema parlerò della fs scaduta.

lunedì 9 luglio 2007

Noi, i nostri bambini ed i bambini che siamo stati (1)

Mesi fa parlavo con L. F. di bambini. Lui, padre da molto tempo prima di me e tecnico anche di cervelli, oltre che di pc, osservò come si scordi che cosa da bambini “fosse importante.” L’affermazione può sembrare ovvia: col passare del tempo diventiamo altro da quel che eravamo; l’età adulta bussa alle porte del nostro fisico e della nostra mente ed attraverso l’adolescenza ci trasforma in uomini o donne. Perciò perché dovremmo pensare alla nostra infanzia? Per me perché 1) eravamo quel bambino. Per capire perché ora siamo questa persona, dobbiamo mantenere un legame con esso. Certo, senza pretendere di tornare bambini (sarebbe impossibile e ridicolo) ma considerando la nostra vita come un tutto; con dei superamenti motivati ma senza tagli irrazionali. Poi, certo anche i superamenti motivati implicano scelte dolorose.
2) Perché alcuni di noi hanno bambini. Così, il genitore deve essere consapevole che esiste un collegamento tra sé, la sua prole ed il bambino che è stato. Ma il collegamento è lui stesso. La qualità umana della persona determina il rapporto coi suoi figli: un padre come quello dei fratelli Karamazov, nell’omonimo romanzo di Dostoevskij, per i suoi ragazzi è l’inferno.
1° punto, legame col bambino che eravamo. Penso che al bambino non si lasci molto tempo per esserlo: deve crescere, imparare, svilupparsi, dare una mano in casa, fare sport, catechismo ecc. Ma deve anche essere un giocattolino sorridente. Da una parte un mondo di doveri, dall’altra quello di Peter Pan. Il bambino in mezzo, ansioso ed incerto su che cosa possa o debba diventare. Ora, io ho sempre trovato noioso essere bambino così. Non reggevo il ruolo del soldatino né quello del bambolotto. C’è sempre qualcosa che ti illumina sulla direzione che darai alla tua vita: per Lennon è stato l’ascolto di Presley, per S. Agostino lo studio dell’Ortensio di Cicerone. Per me è stata la lettura.
Un misto di inquietudine e curiosità mi portava ad interrogarmi sul perché delle cose. Non volevo ripetere il catechismo a memoria ma capirlo. Ecco perché stimo tanto Abelardo, un uomo che dedicò tutta la vita alla conoscenza anche nell’ambito della fede. Però nella conoscenza si deve evitare l’arroganza: se da bambino avessi letto di quando il Nostro si vanta d’aver costretto Roscellino a cambiare opinione su una questione, avrei provato lo stesso fastidio che provai 20 anni fa. Ho iniziato a leggere perché volevo capire, che dal latino capere significa afferrare. Ma c’è differenza tra afferrare un concetto ed afferrare qualcuno alla gola. Idem per la fede: riguarda un Dio d’amore, non equivale ad una fedeltà quasi militare; o avrebbe ragione Hegel quando dice che se la dote principale del cristiano fosse la fedeltà, allora il miglior cristiano sarebbe il cane!
Ora come da bambino, non mi piace chi vorrebbe indicare vie per cui altri dovrebbero rischiare, nè chi non trova mai contraddizioni in se stesso, o che in esse vede problemi e non la vita. Sì, certe contraddizioni vanno risolte: la malattia contraddice la salute. Ma io parlo delle contraddizioni come nodo storico-esistenziale che dobbiamo sciogliere come uomini e donne: mantenendo lo stupore. Quando mio figlio (che non sa ancora leggere) mi chiede di leggergli i nomi degli attori nei titoli di coda dei film, quella è la stessa scena che c’era tra me e mio padre. Ridevamo molto per certi strani nomi italoamericani; la conoscenza è anche divertimento. Dopo l’amore ed insieme al rock, per me è la cosa più bella.

sabato 7 luglio 2007

I cagliaritani ed il caldo

Scusate: non conosco il caldo. Osservo con stupore questo fenomeno che in estate non tormenta solo i cagliaritani. Ma a Cagliari tale fenomeno è particolarmente interessante sotto l’aspetto del costume. In questa antica città fenicia, benché (come testimonia un cognato, catanese d’origine) il caldo non tocchi punte d’autentica agonia, già a marzo i suoi abitanti si lamentano come non fece neanche S. Lorenzo: che pure si trovava in graticola… Così, da molti anni raccolgo dati, testimonianze, pareri per una ricerca che provi a che cosa siano dovute certe reazioni kalaritane di fronte al caldo.
Il 1° dato da me registrato risale all’estate del ’70. Ricordo che in una sera molto “calda” mia nonna, carlofortina adottiva esclamò: “Eh, quando fa caldo, fa caldo!” L’affermazione mi parve ovvia ma quando lo feci notare all’austera signora, costei mi inseguì per tutta la casa con la scopa. Così pensai che tutti soffrono il caldo; ma i cagliaritani sono tanto fiaccati da esso, che non hanno neanche la forza di incavolarsi.
Nel ‘96 fui testimone di 1 episodio che modificò del tutto questa mia convinzione. Verso le 11 di una mattina di luglio mi ero seduto all’ombra (nessuno è perfetto) con una lattina di birra. Una signora cercava di parcheggiare ed il marito, poco distante, le forniva qualche indicazione. “Più al centro, sì, no, ora a destra”, ecc. Quel giorno c’erano 37 gradi e la gentile signora grondava rabbia e sudore finchè, non potendone più urlò al consorte: “Come faccio?! Non ci riesco! E’ colpa tua! Tua! Idiota! Imbecille!”
Ora, nella nostra vita tutti noi ci siamo sentiti almeno una volta idioti o imbecilli: riconoscerlo è da persone intelligenti. Comunque, colei tentò un’altra manovra, per me impossibile: dove cercò di incunearsi c’era meno spazio che nella difesa di una squadra tedesca degli anni ’30. Allora gridò al marito: “Parcheggiala tu, questa schifezza! Vigliacco! Squilibrato! Mostriciattolo!”
Intanto arrivò Mustafà. Da buon musulmano rifiutò la birra ma accettò l’ombra. In Marocco, fino a maggio studiava lettere; da giugno a settembre vendeva mercanzia varia sulle italiche spiagge. In confronto al suo, il mio francese faceva pensare ai gargarismi di un gorilla. Ci disinteressammo subito della coppia; era noioso vedere i 2 prendersi ad unghiate ed a schiaffoni in mezzo alla strada.
Mustafà notò che avevo con me Lo spirito delle leggi e dei luoghi di Montesquieu. Con tatto, osservò che sull’influenza del clima su umore, mentalità ed anche leggi dei popoli aveva già scritto Ibn Khaldun: un dotto che visse nell’Africa del Nord tra fine XIV sec. ed inizio XV. Presi nota ma quando gli parlai della mia ricerca su caldo e cagliaritani, scoppiò a ridere: quando fa caldo, fa caldo! Non ricordo se lo disse in francese o in arabo ma da allora sono pervenuto a queste conclusioni:1) tranne me, tutti soffrono il caldo. 2) Il caldo altera gravemente l’umore. 3) E’ inutile che io continui la mia ricerca; meglio che vada al bar. O che rilegga Montesquieu. O che legga Ibn Khaldun.

mercoledì 4 luglio 2007

Brutti, sporchi e rockettari

Spesso associamo al rock l’idea di eccessi alcolici e sessuali, consumo di droghe, scatenamento di istinti violenti, impulso al satanismo ecc. Il tutto è stato sintetizzato da Ian Dury con la formula sex, drugs and rock ‘n roll. Si tratta di una formula che ha rovinato molte delle migliori menti del rock: questo è un fatto. Ma non voglio fare del moralismo. Forse alcuni musicisti avrebbero scelto un certo stile di vita anche se il rock non fosse mai stato inventato. A partire, in epoca moderna dal poeta del ‘700 William Blake, per il quale “il sentiero dell’eccesso” conduceva al “palazzo della saggezza”, parecchi artisti han voluto andare “oltre.” Di solito, in chi crea, passionalità e voglia di sperimentare raggiungono vertici morbosi, talvolta autodistruttivi.
Del resto, può esserci un che di malsano anche nell’artista che fa vita da frate e passa ore ed ore a limare lati anche marginali di una sua opera, isolandosi da tutti. Si narra che Flaubert, prima di scrivere Salambò si sia aggirato per le rovine di Cartagine per settimane, in sostanza digiunando.
Ma spesso nel rock, ramo così giovane dell’albero-musica, capita che musicisti e fans si facciano incantare dal suo aspetto spettacolare. Bè, come diceva il mio amico Bruno: immaginate d’essere sui 20 anni e d’aver sempre vissuto in qualche squallida periferia. Di colpo eccovi ricchi e famosi, anzi idolatrati. Chi non perderebbe la testa? Keith Richards ricordava che Margaret Trudeau, moglie del primo ministro canadese fu una groupie dei Rolling Stones! Groupie cioè… emh… diciamo ”accompagnatrice”… In occasione della prima tournèe dei Beatles negli Usa, perfino il caustico Lennon si chiese: lì hanno tutto. Perché vogliono noi? In seguito, quei ragazzotti di Liverpool videro che mandavano in visibilio le donne del Paese più potente della Terra; si pensi alle scene al limite del delirio che si registrarono allo Shea Stadium di New York. Questo aumentò di molto la loro autostima. Il solito Lennon osservò che in ogni città erano dei “Cesari.”
Certo, in tutto questo rockers, massmedia e cortigiani vari, anche un po’ maligni, “gonfiano” un po’ i fatti. Tipico il caso del giornalista Christopher Sandford: stando ad una sua biografia su Springsteen, sembra che il Boss dopo ogni concerto-maratona di 4 ore non si senta in pace con la sua coscienza se non salta addosso ad una ragazza. Ma per me questo ritrattino dell’artista da erotomane non spiega molto. Spiega forse il puritanesimo british, britannico del giornalista. Infatti, sappiamo tutti che le quinte del rock non sono templi buddisti. E allora? Purtroppo, spesso sia pubblico che rockettari si fanno abbagliare da certe luci, da certi lustrini.
Invece il vero rock, benché non sia per puritani, è altro. Gli effetti speciali vanno bene per qualche film su Godzilla, ma sono una disdetta per tamburi e chitarre.
Parlerò di questo in un prossimo post.

lunedì 2 luglio 2007

Le maschere degli scrittori

2 sere fa ho rivisto il film Uno scrittore particolare, con Kelsey Grammer. Grammer è un grosso bambolotto dalla mimica comica e nervosa. Un tipo come ne incontri tanti, al mercato, allo stadio o alle poste. Nel film è Howard Spitz, scrittore di improbabili gialli. Vive in 1 tugurio che lui, con la tipica creatività degli scrittori è riuscito a trasformare in una stalla. La moglie l’ha mollato ed il suo agente è un genio che a suo tempo cacciò Hemingway e consigliò a Fitzgerald di smettere di scrivere.
1 giorno Howard scopre il mercato dei libri per bambini, così comincia a battere le biblioteche per capire come funzionino gli uni e gli altri. Si imbatte in un mostriciattolo perfettino (Stuart) che rivela a tutti che in biblioteca mangia cibo per cani! Oltre ad Odiosetto Stuart compare una bibliotecaria isterica che tratta H. da ignorante e da pericolo pubblico, tra l’orrore e l’ilarità dei bambini.
Durante questa scena ridevo molto, ma mi sono accorto che mio figlio Andrea, di 5 anni mi guardava perplesso. Suo padre rideva perché un tizio mangiava cibo per cani? Rideva perché quel matto viveva in 1 letamaio? Eppure lo stressa sempre con ordine, cibo sano, pulizia. Bè, come potrebbe confermare la madre del pupo, il pater familias seguì per molto tempo simile “stile” di vita; meglio non approfondire questo ed altri lati... In seguito Howard indossa (a fini pubblicitari) un costume da mucca. Altre mie risate e nuova perplessità del pupo. Ma papà non odia il Carnevale?
Ora, ogni scrittore ha bisogno di una maschera. Dostoevskij in Delitto e castigo fa assassinare un’usuraia (con “l’aggiunta” della sorella) da Raskolnikov. L’A. sapeva che il rimedio cioè un vero omicidio sarebbe stato peggiore del male; perciò si è nascosto dietro il personaggio di un romanzo. Pensaci tu, Rodion: e dopo mi raccomando, pulisci bene la scure. Non lasciarmela sporca di sangue, eh? In effetti, quale scrittore vorrebbe essere assassino, pazzo, alcolizzato, erotomane, drogato ecc.? Eppure il Male esercita un fascino pazzesco, su chi scrive; forse è per questo, che molti impazziscono. Prendono le loro creazioni tanto sul serio, che non vogliono più solo scriverle: vogliono viverle.
Io penso che scriviamo per nascondere il nostro vero io. Ma il fine non è ingannare gli altri o noi stessi; di sicuro non è il mio. Il fine è raccontare, inventare e non si può inventare niente stilando rapporti su noi stessi: si deve creare un altro io. Così ci nascondiamo per farci scoprire in una luce che speriamo risulti + interessante.
Presso i Latini c’era una maschera chiamata persona. Tutt’ora, il verbo impersonare è quasi sinonimo se non di fingere, di recitare. Ma per me, quando uno scrittore poggia la penna deve deporre la persona intesa come maschera e tornare persona vera. A me aiuta a non confondermi tra persona-maschera e persona-Riccardo il dover cambiare i pannolini alla mia bambina.

Per un’uscita definitiva dal terrorismo islamico

Circa 2 mesi fa sul quotidiano Liberazione ho letto che il fondatore della jihad egiziana Sayed Abdul al Sharif, uno dei primi ideologi di Al Qaida starebbe per sconfessarla poiché con l’uccidere dei musulmani avrebbe tradito i principi guida dell’Islam. Egli (noto anche come Imam Fadl) insieme ad Abdul Aziz al Jamal, portavoce dei talebani fino al 2001, sta così avviando una revisione ideologica che avendo successo, salverebbe tante nuove possibili vittime. Sharif è detenuto in un carcere egiziano, su di lui pende una condanna a morte. Presto in un documento che sarà sottoscritto da altri detenuti della jihad egiziana spiegherà la sua visione; pare che certi starebbero già girando per le carceri egiziane per convincere altri detenuti a raccogliere adesioni.
Accolgo la notizia con gioia; ma essa va anche vagliata criticamente. Quando ci nasce un figlio la gioia ci travolge, però vogliamo sapere come stiano lui e la madre, se il parto sia andato bene ecc. Non smettiamo di ragionare neanche nella gioia. Essere informati sulla salute della madre e del bimbo ci rende anzi più consapevoli della bellezza dell’evento e rende quella gioia più piena. Ora, nell’analizzare la notizia citata mi chiedo: chi rivede certi tragici errori non poteva pensarci prima, risparmiando tante vite? Eppure, chi vuol riparare (benché con grave e colpevole ritardo) evita di commettere nuovo male.
Del resto, per i competenti una certa idea di jihad è del tutto estranea al Corano. Sì, ormai jihad pare sinonimo di guerra santa o di terrorismo su base religiosa, ma il termine significa “sforzo” su se stessi, resistenza contro le tentazioni e la seduzione del male. Il vero significato è quindi morale-religioso, esclude ricorsi alla violenza. Infatti nelll’XI sec. il pio e dotto Al Ghazali ricordava che per Maometto “il vero Combattente la Guerra Santa è colui che combatte le sue passioni.” Dopo i musulmani utilizzarono il termine in questione come richiamo alla guerra per difendere Maometto da minacce e persecuzioni che subiva dagli abitanti della Mecca; poi per difendersi da cristiani come i crociati… come cristiano provo orrore per i massacri da essi commessi durante la presa di Gerusalemme (I crociata).
Ma penso che questo uso di jihad, utile a fini di mobilitazione verso aggressori armati, si allontanasse già da allora dal Corano. In Esso si dice che chi cadrà combattendo sulla via di Dio otterrà il Paradiso: ma “combattere” non può essere inteso in senso militare bensì religioso. Il primo nemico da combattere si annida in noi stessi; così è ipocrisia credere che nonostante una condotta morale lontana dal Bene, il morire nel corso d’azioni militari frutti il Paradiso. Sempre per Al Ghazali, Maometto condannava ciò. Ed il Corano condanna anche il suicidio.
Insomma, al jihad religioso si sono sovrapposti significati storico-politici: ma i musulmani avrebbero dovuto rivendicare il diritto all’autodifesa, storicamente esercitato da ogni popolo. Io riconosco a chiunque si trovi in condizioni di intollerabile oppressione il diritto alla resistenza anche armata. Ma le armi non devono colpire innocenti né essere rivolte contro se stessi. Chi combatte deve farlo da soldato o da guerrigliero, non da odiatore di Dio e degli uomini. E chi ora rivede certe posizioni, deve riconoscere che è stato tradimento dell’Islam anche uccidere degli innocenti non musulmani; il Corano non prescrive neanche questo.