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lunedì 24 maggio 2010

Cose o cosette smarrite


Ci sono cose che per motivi che non ho mai capito (non capire è uno dei miei punti di forza) ho sempre sfiorato, senza riuscire mai a raggiungere davvero.
Parlo di cose piccole… anche se forse quelle sono collegate ad altre grandi, magari grandissime, enormi, gigantesche e perché no?, megagalattiche.
O almeno, mammuthesche.
Bene bene bene… iniziamo.
Avrei sempre voluto vedere il film-concerto dei Led Zeppelin The song remains the same. Di The song ho visto più che altro alcune, sparse sequenze.
Invece di C’era una volta in America di Sergio Leone, musiche di Morricone ho gustato varie ma singole parti, che tutte insieme hanno “fatto” la mia visione del film.
Per anni non ho potuto avere Desire di Dylan: capitava sempre qualcosa al disco o alla cassetta (uso termini tardo-medievali, lo so!) perciò mr. Zimmerman rimaneva al palo.
Il pallone da calcio… ecco, quello, quando facevo/faccio gli stop mi sfuggiva/sfugge spesso. Piedi di legno? Ebbene sì; purtroppo!
Ora ho imparato (un po’) a farli, gli stop.
Ma ormai questo conta poco, anche perché diventa sempre più difficile trovare qualcuno che voglia giocare come prima.
Qualcuno dei miei amici gioca in Paradiso, qualcuno è emigrato, qualcuno lavora troppo e non ha tempo, qualche altro non lavora quasi mai ed è troppo amareggiato per giocare a calcio.
Gli ombrelli… da quando avevo 14 anni ne ho sempre perso 1 o 2 ad inverno.
Quest’inverno, che peraltro mi sembra sia finito da pochi giorni, ne ho perso tre o 4. Evidentemente sto ringiovanendo.
Diario d’Irlanda di Heinrich Boll: perso a pochi mesi dall’acquisto. O prestato a qualcuno e mai più restituito? Vogliamo dire quell’antipatica parola… rubato?
Il senso dell’orientamento… beh, almeno quello posso dire di non averlo smarrito, poiché non l’ho mai posseduto.
Il saper nuotare… benché io sia nato ed abbia sempre vissuto in una città di mare (Kar-El, Kalaris, Caller, Casteddu o Cagliari che dir si voglia) ogni tanto lo sfioro ed io e lui facciamo tanti bei progetti balneari.
Ma poi non imparo mai davvero.
Certo, riesco a non annegare; il che mi sembra comunque un bel risultato. Anzi, dal punto di vista della mia sopravvivenza fisica mi sembra un successone!
Colgo infatti l’occasione per ringraziare me stesso.
A parte (o anche incluse queste cose) quali sono le cose o le cosette che voi avete smarrito, o che di solito smarrite?
Coraggio: la conversazione e/o la ricerca sono partite.
Non fatele aspettare!
Io posso aspettare.
Loro no.

sabato 15 maggio 2010

“Il segreto di Isabel”, di Sonia Ognibene


Col romanzo Il segreto di Isabel (1) la scrittrice marchigiana Sonia Ognibene ha vinto nel 2008 il premio Montessori.
Premio davvero meritato perché intanto, nel Segreto l’Autrice ha saputo presentare e rappresentare al meglio la complessa realtà dell’adolescenza (nè questo è il solo pregio del libro).
Se adolescenza (latino adulescentia) ha un rapporto o una derivazione col verbo adoleo che significa far bruciare, bruciare ecc., allora l’adolescente è colui/colei che inizia a bruciare: nel senso che inizia ad utilizzare, ad impiegare (quali che siano i risultati) le proprie energie fisiche e mentali.
Per me, in questo c’è qualcosa di grande: l’adolescente è il giovane uomo o la giovane donna che si misura col mondo.
Nel Segreto la protagonista, Isabel è la classica ragazzina baciata dalla fortuna: in famiglia sono benestanti, lei è stata una promessa del nuoto e può mantenere quelle promesse, ha tanti amici, nessun problema con la scuola…
Ma nel suo intimo è angosciata da alcuni fatti che non confessa né svela a nessuno. Il suo dolore è continuo, incessante tanto che dichiara: “L’inferno mi attendeva impaziente, ma prima mi avrebbe tormentato sulla terra fino al mio ultimo giorno.” (2)
Ora, Sonia fa mantenere ad Isabel il suo segreto fino alle ultime pagine del libro; ma per me, ha fatto questo non per mero gusto della suspence… il suo non è un giallo.
Lo collegherei anzi alla tradizione più antica ed impegnativa del romanzo psicologico-morale il cui maggior rappresentante è per me Dostoevskij.
Tuttavia, benché nel romanzo ci si imbatta in riflessioni anche tormentate, Sonia sviluppa la trama in modo comunque fresco: come quando Isabel rievoca quella volta che a 2 anni portò a casa un “granchio ammalato, morto stecchito, per dargli un’aspirina.” (3)
Qui troviamo tutto il candore della bambina… quel che forse Isabel vorrebbe essere ancora.
Comunque il libro non vive in funzione della rivelazione di certi fatti.
Alcuni libri in parte si riscattano con quella rivelazione, ma tolta quella… rimane poco.
Invece il Segreto arriva appunto alla rivelazione finale senza far mai registrare delle battute d’arresto; non è, infatti, costruito solo su quella. Questo perché i temi del libro sono parecchi e tenuti insieme da una narrazione chiara e che non si sfilaccia mai.
Appunto un tema che ritorna spesso nel romanzo consiste in quelle particolari e dolorose dinamiche che talvolta sembra tramutino i familiari in rivali.
Su tutti i parenti di Isabel spicca comunque per saggezza e dignità la figura del nonno, di cui a lei sembra di “percepire ancora” l’odore “di trucioli e tabacco: intagliava legno tutto il giorno e, verso il tramonto, lasciava qualunque cosa stesse facendo per godersi la sua pipa di fronte al mare.” (4)
Per me, il mixtum di dolore di Isabel, isolamento ed auto-isolamento, dolci ricordi alternati al presente ed il tono alto ma mai pesante fanno del Segreto un testo di grande valore; un libro che sa parlare sia agli adolescenti sia agli adulti.
Anche a noi perché come diceva bene Gramsci, spesso dimentichiamo gli anni in cui eravamo tanto più giovani.
Ed apparentemente spensierati, aggiungo io.


1) Sonia Ognibene, Il segreto di Isabel, Raffaello Editrice, 2010.
2) S. Ognibene, Il segreto di Isabel, op. cit., p.19
3) S. Ognibene, op. cit., p.16.
4)
Ibid., p.10.

sabato 1 maggio 2010

Carne da lavoro


Grazie a denunce e testimonianze fornite dai lavoratori extracomunitari che lavoravano a Rosarno, le forze dell’ordine hanno potuto arrestare 21 italiani proprietari di aziende agricole e 9 caporali stranieri.
La loro collaborazione, definita dal capo della squadra mobile Renato Cortese “fondamentale” ha permesso d’accertare un inumano sfruttamento del loro lavoro. Gli extracomunitari erano infatti sfruttati “come bestie”, raccontano gli investigatori (l’Unità, 27/04/2010, p.4).
Le indagini hanno svelato “condizioni di assoluta subordinazione… opprimenti e inique condizioni lavorative” (l’Unità, p.7).
Una giornata di lavoro anche di 12 ore era pagata “in media” 22 euro, ma alcuni di questi moderni schiavi dichiarano d’aver lavorato “anche per meno” (Il manifesto, 27/04/2010, p.8); 2.50 andavano al caporale. L’alloggio… case o fabbriche fatiscenti, infestate da topi, scarafaggi, prive d’acqua e riscaldamento.
Il misero “salario” era pagato in ritardo; frequenti “botte e anche minacce di morte” (Il fatto, 27/04/2010, p.9).
Gli accusati dovranno rispondere di “associazione a delinquere finalizzata allo sfruttamento della manodopera clandestina e alla truffa” (l’Unità, p.4). E forse, le ipotesi di reato o le accuse potrebbero aumentare: violenza, ricatto, minacce ecc.
Benché per ora non si scorgano collegamenti con la ‘ndrangheta, “risulta difficile” pensare che tale sistema possa esser partito “senza il via libera dei clan”(L’Unità, p.4).
In ogni caso, sono state sequestrate 20 aziende e 200 terreni “per un valore di 10 milioni di euro” (l’Unità, p.5).
Si è trattato di un sistema di tipo pressoché schiavistico che si perpetuava grazie ad un intreccio di sfruttamento economico, condizioni igienico-abitative bestiali, tutele lavorative medievali, violenza fisica e psicologica che però era anche pratica perché: “Il ritardo nei pagamenti- si legge nelle carte dell’inchiesta- obbliga gli operai a continuare a lavorare, sottoponendosi ai voleri del caporale che in questo modo li può gestire a suo piacimento” (Il fatto, 27/04/2010, p.9).
La strada dei lavoratori extracomunitari è ancora in salita, non solo a Rosarno: ma dalla loro denuncia arriva un segnale positivo anche per gli italiani, benché non lavorino in quelle condizioni.
Come osserva lo studioso Antonello Mangano, il tema dello sfruttamento del lavoro riguarda anche gli italiani, che spesso sopportano quello ed anche la violenza, i ricatti ecc. senza reazioni degne di nota (L’Unità, p.6).
Comunque, buon 1 maggio a tutti i lavoratori ed a tutte le lavoratrici del mondo, di qualunque colore, etnia, Paese, religione e cultura siano!