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mercoledì 25 settembre 2013

“Saturday night” degli Eagles


Nel 1973 gli Eagles incisero a Londra l'album Desperado. Desperado è un concept-album, un disco cioè che si presenta non come una semplice raccolta di canzoni bensì come una sorta di libro, di cui ogni canzone rappresenta un capitolo. Il concept-album era molto diffuso negli anni '60-'70. Forse, l'ultimo grande esempio di questo modo di fare musica in ambito pop-rock è costituito da The Wall (1980) dei Pink Floyd.
Desperado è un disco di musica country e contiene un solo rock (peraltro bello sanguigno): si tratta di Out of the control.
Il disco racconta la storia della banda Doolin'-Dalton, o comunque quella di alcuni avventurieri: un po' banditi, un po' vagabondi ed anche sognatori. Il tutto è ben sintetizzato da questi versi di Outlaw man: “In one hand I've a Bible, in the other I've got a gun, in una mano ho una Bibbia, nell'altra ho una pistola.
Saturday night narra la storia di un uomo che attraversa la classica epopea del West, dagli anni eroici della frontiera a quelli del progresso; da noi questo momento di transizione è stato sintetizzato dal film di Sergio Leone C'era una volta il West. West che forse era più complesso di quel che crediamo...
Il brano inizia col mandolino di Leadon e su un tempo che per me si situa tra il valzer ed il blues (almeno come atmosfera). Henley canta:
Seems like a dream now, it wasn't so long ago
the moon burned so bright and the time went so slow,
and I swore that I loved her and gave her ring”,
ora sembra come un sogno, non era molto tempo fa
la luna bruciava così luminosa ed il tempo passava così lento,
e io giuravo che l'amavo e le davo un anello.
Qui abbiamo una storia d'amore, indubbiamente. Ma l'amore dalle parti del West, quel che conduce l'uomo a chiedersi:
Whatever happened to Saturday night
finding a sweetheart, and holding her tight?”,
qualunque cosa fosse successa il sabato sera
si trovava un'innamorata e la si si stringeva forte?
L'”eroe” non ne è tanto sicuro: probabilmente la vita da fuggiasco o da bandito ti fa dubitare dei sentimenti ed anche dei ricordi. Del resto, la vita dell'outlaw man, del fuorilegge portava “qualunque cosa fosse successa di sabato sera”, a “Choosing a friend, and a losing a fight: scegliere un amico (o un'amica?) ed a perdere uno scontro, una rissa. Tra l'amore,la violenza e l'amicizia poteva anche non esserci un confine netto...
C'è anche la domanda dell'innamorata: “Tell me, oh tell me, was I all right?”, dimmi, oh dimmi, stavo davvero bene? Forse, trascorsi alcuni anni dalla fine della loro storia lei vuol essere ancora rassicurata sul suo fascino, sulla sua bellezza... forse ormai svaniti, l'uno e l'altra.
Così come è ormai svanito anche il loro amore, insieme al West che avevano conosciuto da giovani... infatti
The years brought the railroad, it ran by my door
now there's boards on the windows and dust on the floor”,
gli anni portarono la ferrovia, passava davanti alla mia porta
ora ci sono assi sulle finestre e polvere sul pavimento.
Il tempo ha insomma sconfitto anche il desperado, l'outlaw che magari era imbattibile con qualsiasi arma. Io immagino l'”eroe” della canzone addirittura privo di un tetto, oltre che di una donna... solo, ormai costretto a vagare per una terra che non comprende e che non ha più bisogno di lui, condannato a vagare in solitudine ed in amarezza.
Ma la donna del brano è sempre presente, insieme a questa bruciante consapevolezza:
And she passes the time by another man's side
and I pass the time with my pride”,
lei passa il suo tempo al fianco di un altro uomo
e io passo il mio col mio orgoglio.
Finché l'uomo constata sconsolato
What a tangled web we weave,
che trama complicata tessiamo.
Infatti spesso i peggiori nemici dell'amore sono la gelosia ed appunto l'orgoglio; beninteso, parlo di un orgoglio esagerato... che ci impedisce d'apprezzare la persona amata e di essere almeno un po' indulgente verso i suoi limiti, le sue debolezze ecc. Del resto, chi non ne ha?
Eppure continuiamo a tessere una tela fatta di sospetti, malumori, false o insensate aspettative, eccessiva vanità o indulgenza verso noi stessi.
Intanto il nostro tempo è passato o sta passando e da tutto ciò che cosa abbiamo ricavato?
Perché “qualunque cosa sia successa di sabato sera”, forse i protagonisti della canzone continuano a vagare per i luoghi ormai tanto cambiati della loro giovinezza. Come se fossero dei fantasmi..



sabato 14 settembre 2013

La discussione filosofica (parte nona)


La duplicità di cui parla la Murdoch consiste nel fatto che per Platone l'Eros può condurci verso la Bellezza, che è un preannuncio o una sorta di anticipazione del Bene ed anche desiderio di esso. Inoltre l'Eros può condurci alla conoscenza ed alla sapienza.1
Ma questo sarà possibile quando sapremo superare l'iniziale (nota bene: dal punto di vista di Platone, anche desiderabile) attrazione per la bellezza fisica e per i piaceri dei sensi.
Però per Platone l'arte e l'artista hanno il potere di distoglierci da così alti fini morali e conoscitivi per condannarci ad un'esistenza illusoria, nemica quindi del Bene e della filosofia e che inoltre, farebbe passare la stessa filosofia per sterile chiacchiera o raffinato imbroglio.
Magari, in questo l'artista si avvarrebbe della sua capacità di raffigurare, distorcendoli, uomini e valori per piegarli a fini tutti suoi; esemplare il caso di Socrate, pressoché ridicolizzato da Aristofane ne Le nuvole.
Leggiamo infatti nel Fedone questa affermazione appunto di Socrate, che in attesa della morte dichiarò con grande amarezza: “Ed io penso che non vi sarà nessuno che, ascoltandomi, abbia ora il coraggio di dire (nemmeno se fosse un poeta comico) che io sono un ciarlatano e che parlo di cose che non mi riguardano.”2
Ai nostri giorni è tipico l'uso che del linguaggio fece Joyce nell'Ulisse ed ancor più nel Finnegans Wake, romanzo che benché accolto con favore da grandi letterati, critici ed intellettuali, ridestò anche “accuse di follia, ciarlataneria, aberrazione.”3
Secondo poi la bella ed inquietante definizione fornita dal Journet, l'ultima opera di Joyce può essere altresì intesa come un “ricomporre” e “confondere il tempo, la storia, il linguaggio degli uomini per riportare, come è stato detto, la suprema vittoria, quella dello scrivano che detronizza Dio.”4
E per la Murdoch, che qui si rivela indubbiamente chiara e fedele interprete di Platone, lo stesso humour dell'artista conterrebbe qualcosa di intrinsecamente sbagliato, se non una “sottile insincerità.”5
Qualcosa insomma di malato, un odio verso sé stessi (oltre che verso gli altri), un rifiuto di prendere sul serio la vita, i doveri ed i legami che come esseri umani abbiamo verso la società, una sorta quasi di voluttà di auto-umiliazione e di annullamento.
E questa è una linea che sembrerebbe collegare certe affermazioni dei Ricordi dal sottosuolo di Dostoevskij al Lamento di Portnoy di Philip Roth, in cui lo humour del protagonista appunto del Lamento è considerato non “forma classica di humour ebreo” bensì (come dice un'interlocutrice concupita dal famelico Portnoy) qualcosa che ha a che fare col “Ghetto”: quindi con uno dei momenti di maggior umiliazione del popolo ebraico. Dunque “l'auto-deprecazione” a cui Portnoy indulge sarebbe non fonte di vera o “sana” arte ma anzi fenomeno altamente negativo.6
Del resto, mi pare che qui (ebraismo a parte, poiché Dostoevskij apparteneva al mondo slavo ed ortodosso) l'Autore dei Ricordi possa essere considerato una sorta di padre spirituale di Portnoy... dotato se non di maggior sensualità, almeno di pari furore. Egli si crogiola inoltre nelle proprie imperfezioni morali e nei suoi dubbi intellettuali in modo davvero degno di nota.
Infatti nei Ricordi il personaggio che conosciamo solo col nome di “Io” fantastica su suoi immaginari interlocutori, che parlando di lui pensa che possano dire: “Assicurate d'aver la bava alla bocca, e nel medesimo tempo dite spiritosaggini per farci ridere. Sapete bene che codeste vostre spiritosaggini non sono affatto spiritose, ma è evidente che siete assai soddisfatto del loro merito letterario. Vi sarà forse capitato davvero di soffrire, ma non avete il menomo rispetto per la vostra propria sofferenza.”7





Note

1 Platone, Convivio, Garzanti, Milano, 1980, XXVIII, pp. 241-242.
2 Platone, Fedone, Garzanti, Milano, 1980, XIV, p.93; cfr. anche Ibid., p.93 n.20 dove questa affermazione di Socrate è considerata appunto una “amara illusione ai poeti comici del suo tempo e ad Aristofane, il grande commediografo, che nelle Nuvole si fa beffe di lui descrivendolo come un perdigiorno.”
3 Nemi D'Agostino, in James Joyce, Gente di Dublino, Garzanti, Milano, 1986, pp.XXIV-XXV.
4 Charles Journet, Il male. Saggio teologico, Borla, Torino, 1963, p.241.
5 Iris Murdoch, Il fuoco e il sole, Sugarco, Milano, 1977, p.101.
6 Philip Roth, Lamento di Portnoy, Bompiani, Milano, 1988, pp. 293-301.
7 Fedor Michailovic Dostoevskij, Ricordi dal sottosuolo, Bur, Milano, 1984, pp.59-60.