giovedì 21 novembre 2013
“Letto 26”, di Stefano Rosso
Si tratta di una delle più belle
canzoni di Stefano. Il brano è autobiografico e secondo me molto
visivo: ascoltandolo, a me
sembra di di veder scorrere persone, case, auto, gatti, fasi della
giornata... mi sembra di sentire suoni, rumori, gusto atmosfere
chiare, nette eppure indefinibili.
Nel
pezzo lui ricorda una degenza in ospedale, forse quando era bambino e
nomina Via della Scala,
la via di Trastevere in cui
visse e crebbe.
Dal
documentario di Simone Avincola Stefano Rosso. L'ultimo
romano risulta come Ste' sia
stato soprattutto un trasteverino verace,
un uomo quindi che apparteneva ad un mondo (quello appunto di
Trastevere) davvero a parte. Ed il documentario di Simone ha il
notevole merito di evidenziare come egli appartenesse totalmente a
quel mondo: scanzonato, irriverente, popolare e che considera
l'amicizia valore
primario.
Letto 26,
fedele poi a certi miti che esistono in ogni rione popolare, presenta
anche dei personaggi come Biancaneve che:
“
E' ancora là
è un po' invecchiata ma che fa
le mele non le mangia più
forse i ragazzi giù del bar.”
Si
ignora chi sia questa “Biancaneve” ma a me fa pensare ad una che
faceva la vita ,
magari occasionalmente.
Del
resto, forse Biancaneve era
anche uno dei fumetti porno-soft che trovavamo dal barbiere quando
eravamo ragazzi... o pischelli,
come mi pare che si dica a Roma. Da parte di Ste' si tratta qui di
citazione, strizzata d'occhio o di semplice ricordo d'adolescenza?
Chissà. Ma forse, stabilirlo non è tanto importante.
Penso
che con la 2/a strofa e con Biancaneve ci
troviamo attorno ai primi anni '50 (“La guerra già non
c'era più/ e poi non c'eri neanche tu”).
Arriviamo
alla scuola ed come si doveva andarci:
con decenza e rispetto,
come si diceva dalle mie parti. Il che significava: “La
brillantina e via così.”
Io
ricordo la
Brillantina Linetti
che mia padre mi spalmava sulla testolina. Quando la giornata
scaldava, la Linetti ti si seccava in testa diventando una specie...
non so, di crosta.
Però
era profumata e
teneva i capelli in ordine; sembravo un bambino prussiano ma quasi
quasi me la ricompro...
Vabbe',
il piccolo Ste' cresce e sente attorno a sé attorno a sé il
disprezzo per la cultura:
“Diceva
non ti serve a niente
la
scuola non ti servirà
e
invece io tra quella gente
capivo
un po' di verità.”
Ecco,
questo è un aspetto di Rosso che forse è stato poco indagato: il
rapporto con la cultura.
Nel
documentario citato, un amico dichiara che benché Ste' fosse un vero
gatto di strada (in Letto
26 si
parla apertamente di alcol, donne e marijuana) comunque studiava
parecchio.
Del
resto in Compleanno
canta:
“E con gli
amici adesso a casa mia si parla spesso di filosofia.”
Addirittura, una sua canzone si intitola Metempsicosi:
la credenza nella reincarnazione o trasmigrazione delle anime. In
Metempsicosi
troviamo
poi dei riferimenti (sebbene scherzosi) a Platone ed a Plotino. E
forse, potremmo continuare.
Tornando
a Letto 26,
nella penultima strofa il Nostro fa un bilancio della sua vita:
“Ho
conosciuto tante donne
cattive,
oneste, senza età
a
tutte ho dato un po' qualcosa
con
tanta generosità
a
lei, mia madre, i dispiaceri
mentre
a mia moglie dei bambini
al
primo amore i sentimenti
i
baci e l'acne giovanile.”
Ma
in questo bilancio il riferimento alle donne
non
ha niente di macho:
è invece molto rispettoso e sincero. Ste' dice d'averle
“conosciute”: non gli interessa vantarsi d'esser stato un latin
lover; sottolinea anzi come con le donne abbia cercato un contatto
più pieno, più vero.
A
fine canzone il ragazzo è ormai un uomo... ha attraversato il
dopoguerra, vissuto gli anni della lotta politica, raggiunto una
certa notorietà (che ingiustamente perderà presto), è diventato
padre e marito, ha sofferto e fatto soffrire... ma sembra che si
guardi ancora attorno con un misto di divertimento , curiosità ed
inquietudine.
Ma
sia detto senza false e stupide modestie, questo articoletto non
rende un gran servizio a lui ed a Letto
26. Perciò
ascoltatela: anche molte volte. Le corde di quella chitarra pizzicate
come faceva lui e la sua voce dolente ed insieme appassionata danno
sensazioni che toccano e scavano. Molto. Moltissimo.
sabato 16 novembre 2013
La discussione filosofica (12/a parte)*
Stando ad Aristotele, negli esseri
umani questo interrogarsi nasce da
quel che egli chiama thaumazein1,
che significa sia “provare meraviglia” che “turbamento.”
L'uomo, di fronte allo spettacolo meraviglioso ma anche terribile
della natura, prova
quanto detto poc'anzi. E da quel momento
comincia ad interrogarsi, il che lo conduce a filosofare.
Vivendo poi in
società l'uomo sarà dunque portato a confrontare le sue
domande e le sue risposte anche con quelle degli altri.
Ecco perché
la filosofia, che nasce da esseri razionali, possiede anche
una natura sociale. Ora, lato sociale e lato razionale sono
tra loro legati o meglio, intrecciati. Del resto, tutti
noi siamo esseri dotati di ragione e viviamo in una
dimensione sociale.
Per piccola
che sia quella dimensione e per quanto poco sviluppata possa esser
l'inclinazione che ognuno di noi può avere a ragionare, però
nessuno può sottrarsi al vivere sociale ed all'esercizio della
ragione.
A meno che
qualcuno non opti per un volontario isolamento dall'umanità...
Ma anche in
quel caso, nessuno potrà rinunciare alla sua natura d'essere dotato
di ragione. Ed anche se lo volesse, dovrebbe compiere comunque un che
di filosofico: imporre a sé stesso di non ragionare più;
dovrebbe insomma utilizzare (magari portato dalla rabbia o
dall'amarezza) la sua ragione per smettere di ragionare.
Però anche se
volesse pensare solo a bisogni puramente biologici quindi alla mera
sopravvivenza fisica, anche questo sarebbe un atto compiuto da un
essere razionale. E che tale rimane.
Non possiamo
quindi sottrarci, o lo possiamo solo a stento, alla dimensione
sociale-razionale.
Sì, forse per
qualcuno questo sottrarsi potrà essere un gran bene:
perché la razionalità e la socialità ci chiedono conto di
chi siamo e di che cosa facciamo, di chi eravamo e di che cosa
abbiamo fatto; già, perché appunto razionalità e socialità
possiedono anche un lato morale.
Comunque, chi
vorrà rifiutare l'ambito sociale, quello razionale o entrambi dovrà
compiere una o più scelte che potranno sembrare solo di tipo
pratico: voglio vivere pensando soltanto al mio benessere
fisico, cercare il piacere dei sensi (l'edonismo), puntare al
potere, o al danaro, alla fama ecc. o comunque rifiutare tutto quanto
possa comportare lunghe, complesse ed anche dolorose riflessioni ed
autocritiche.
Voglio vivere
solo per e nell'azione.
O essere come
lo Stirner che dichiara: “Io ho riposto la mia causa nel
nulla.”2
Ma anche
queste scelte saranno compiute da un essere razionale che vive in
società e che perfino nel rifiuto di socialità e razionalità,
manterrà almeno il ricordo e forse anche il rimpianto
di quella sua duplice (in realtà unica, come visto)
dimensione.
Note
- Ho pubblicato su questo blog le precedenti parti di questo post rispettivamente: la 1/a il 25 /03/2008; la 2/a il 4/4/2008; la 3/a il 17/6/2010; la 4/a l’11/10/2011, la 5/a il 27/11/2011; la 6/a il 15/11/2012; la 7/a l'8/12/2012.
Il riepilogo di questo post (sino alla 7/a parte) è stato pubblicato il 21/02/2013.
Ho pubblicato l'8/a parte il 20/03/2013 e la 9/a il 14/09/2013; la10/a il 5/10/2013 e l'11/a il 30/10/2013.
1 Aristotele,
La metafisica, Utet, Torino, 1996, I, 2, 982b 12 sgg. Ma
questo concetto era già stato scoperto ed illustrato da Platone; “E'
veramente propria del filosofo questa emozione, il provar meraviglia,
né altra che questa è l'origine della filosofia.” cfr. Platone,
Teeteto, Utet, Torino, 1981, 11, 155d.
2 Max Stirner,
L'unico e la sua proprietà , Giunti Demetra,
Firenze, 1996, p.414. Il corsivo è mio.
martedì 5 novembre 2013
Frammentari pensieri su Stefano Rosso
E' con una certa emozione che
oggi vi parlo di Stefano Rosso: un cantautore purtroppo un po'
dimenticato ma che per il particolare insieme di ironia, cultura
musicale e per la varietà dei temi da lui trattati meriterebbe d'esser
riscoperto. Ed alla grande.
Le sue canzoni più note sono E
allora senti cosa fò e Una
storia disonesta: in effetti si
tratta di pezzi molto divertenti i cui ritornelli, scanzonati e naif,
sono entrati a far parte dell'ideale colonna sonora di una
generazione. Della mia,
certo: quella che a fine anni '70 aveva 16-17 anni e che adesso...
be', ne ha 34 in più. Che cosa volete che sia?
E
chi non ricorda quel refrain che faceva: “Che bello, con
la ragazza giusta e lo spinello”?
Secondo me la ricordiamo tutti/e noi. La ricordo perfino io che con
gli spinelli non ho mai avuto niente a che fare e con le ragazze, non
molto di più.
Ma benché
Stefano (Rosso è lo pseudonimo per “Rossi”) abbia avuto successo
appunto con pezzi come quelli citati, in lui esisteva anche una
profonda vena sociale e malinconica.
Del resto,
nel panorama di una canzone come quella della nostra d'Autore, molto
interessante ma (Guccini e Jannacci esclusi) anche un po' cupa, uno
come Rosso portava la classica ed indispensabile ventata d'aria
fresca.
Non
c'era quindi niente di male ad autoflagellarsi per es. sul problema
del tradimento subito: come Ste' fece in Allora senti cosa
fò. Tra l'altro con una suite
musicale finale che rimanda al
tabarin o ad atmosfere in qualche modo petroliniane.
Ma
quando ascolto o penso a Ste' risento immediatamente il suono delle
chitarre e la luce, il
sapore, ed i pensieri di quegli anni.
Sì, perché
allora non c'era praticamente piazza in cui non si sentisse suonare
qualche chitarra, delle armoniche e bongos o tamburi di vario tipo. A
Cagliari andava forte (oltre al Bastione di S. Remy) piazza Giovanni
XXIII, che era il punto di ritrovo di tante/i che vi confluivano per
suonare, parlare, scrivere, giocare, leggere, amoreggiare...
Sebbene
io non fossi un assiduo frequentatore di piazza Giovanni
(come la chiamiamo noi di
Cagliari) comunque la ricordo bene.
Soprattutto
ricordo l'atmosfera di
quegli anni, che Stefano ha saputo cogliere con occhio vigile,
umorismo ed anche con dolore: come in Bologna '77,
che parla della morte di Giorgiana Masi, rimasta uccisa durante
alcuni scontri con la polizia.
Un
pezzo poi come Il circo utilizza
l'immagine appunto del circo come metafora del Paese. In questo
“circo che sta in piazza” c'è posto per tutti: anche per chi
protesta, perché tanto: “Ci sono anche i leoni, ma che in
fondo sono buoni.”
Ma
quanto siano buoni,
questo (come tante altre
cose) “nessuno lo
sa.” E comunque: “Paga tutto certa gente...”
Altra
grande canzone è Libertà... e scusate se è poco,
dove vediamo come per Ste' (ma solo per lui?) questa libertà sia
diventata nel tempo qualcosa di sempre meno chiaro e reale.
Ed
ora Stefano pizzica le corde della sua chitarra come nel
fingerpicking di Letto 26,
si trova in una Via della scala un
po' diversa da quella della sua Trastevere, una via della scala piena
di nuvole, arpe ed altri grandi chitarristi. Senz'altro, Ste'.
Senz'altro.
P.s.:
mentre il post andava “in stampa” (avevo appena chiuso la mia
infallibile Bic), il mio pard Bruno
Manca mi ha segnalato il documentario su Ste': Stefano Rosso.
L'ultimo romano. Ne è Autore il cantautore Simone Avincola e...
be', è grande.
Partrop,
ormai il mio pezzo aveva una sua struttura che non avrei saputo
estendere o alterare, ma se volete capire che uomo e poeta fosse Ste'
(e la sua gente),
digitate “Simone Avincola” e trovate il docum. Gratis, poi!
Grazie di
nuovo a Bruno che con la sua poliedrica curiosità mi ha fornito
questa MUY preziosa informazione.
Ora
basta così o va a finire che questo post diventa il seguito
dell'Odissea e così
rompo le scatole a tutti quanti. Ma su Ste' ritornerò. Promesso.
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