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giovedì 31 dicembre 2015

Solo poche righe sul vento


Il vento tra gli alberi
rilassato
ma non indifferente
soffia e si insinua
spettinando di continuo la parrucca delle foglie.

Stamattina
la radio non si accende:
sarà che non ho avuto voglia
d'andare
a far legna?

Il vento fischietta una canzoncina
e chissà perché,
penso che sarebbe bello, stamattina
incontrare Bukowski, S. Girolamo e Bertolt Brecht.

A Brecht direi:
“Senti, Bert, prenotami una birra,
ci incontreremo
nella mia seconda vita
e berremo insieme un bel boccale o forse tre,
di sera, sull'Alexanderplatz.”

Poi direi a S. Girolamo:
“Caro Jerry, non ti parlo come un
asinello a 2 gambe
e neanche, credimi, come una
spada cosparsa di miele...
perciò ti prego,
dammi qualche grammo della tua eloquenza!”

Incassata la risata di Bukowski
per le citazioni da S. Jerry
continuerei, davvero continuerei ad insinuarmi
tra le pieghe del tempo
così come potrei
dribblare le erbacce
che ridacchiano tra le rotaie di vecchie
o vecchissime stazioni...
con solo un sottile ma ben presente vento
a farmi compagnia.

Il vento fischietta tra le foglie,
sembra un flauto elettrico ma piuttosto sfiatato:
però non chieda del fiato a me...
io ne ho solo per correre
e per correre senza inutili traguardi
da tagliare
o da fare a fette.

Poche ore prima dell'anno nuovo un pistolero
verrà da me,
vorrà qualche consiglio
per cavarsela con sciocche, disinvoltissime gatte o donnine
e con arroganti e feroci desperadoes
ma anche a loro dirò
che ho fiato solo per correre
e per correre
dove si affilano penne, armoniche, futuri
e possibilmente, cuori.

Dirò al pistolero
che la Nerissima Signora
dovrà fare della sua lurida falce
un certo uso,
perché sarò troppo occupato ad ascoltare il vento
ed a ridere
con chi amo ed amo,
e ad ascoltare chi ancora mi parla
anche se non c'è più
perché vedete,
il punto è che
sono
io,
il vento...

giovedì 24 dicembre 2015

Il Natale dell'investigatore


Quella sera di fine dicembre Joe Evans se ne stava solo soletto nel suo studio al penultimo piano del Robert Mitchum Building a Los Angeles, California.
Lui era Joe Evans. Ma forse questo l'ho già detto.
Joe si sarebbe ricordato quella sera per molto, molto tempo: anche perché mancavano 5 minuti a mezzanotte quando nello studio entrò una tipa dai capelli ramati e dai celtici occhi verdirlandesi.
Una così Joe non l'aveva mai vista, ma comunque, che differenza avrebbe fatto? Una rossa come quella non avrebbe mai visto lui; neanche se lo avesse fissato fino a diventare strabica.
Se lui, Joe Evans, investigatore privato ed anche comunale fosse stato un poeta, le avrebbe scritto poesie d'amore ululante.
Se lui, ex-sergente dei marines avesse potuto sposare una come lei, sarebbe diventato astemio come un tenente dell'esercito della salvezza.
Se non fosse stato quel gallese romantico e selvaggio che era, si sarebbe consacrato a quella donna come un eremita vegetariano...
“Ok, Joe, ok”, dissi, “ora basta con le metafore; lo sai che non ti escono bene.”
“Ma a te”, ringhiò lui, “entreranno bene le pallottole in testa, se non la smetti con le parolacce! Che diavolo è, una metafora?!
Fatto così, Joe. Ma gli voglio bene, perché è mio fratello.
Una sera, per sfida, riempì di whisky uno strano contenitore e ne bevve una buona parte. Poi mi fissò e disse: “Be'? Se l'alcol fa così male, come mai io sto ancora così bene?”
“Joe, Joe... Non è l'alcol che ti farà male, ma averlo bevuto...”
“In un secchio?”
“No, fratello: quello non è un secchio. E' la pattumiera.”
Insomma, scoppiammo a ridere poi andammo a comprare i regali di Natale.
Comunque, da quell'instancabile segugio che era, Joe aveva raccolto un sacco di prove sulla mala amministrazione cittadina e dello Stato: pubblica, privata, laica o religiosa che fosse.
Il sindaco voleva risanare le periferie di L. A. Bene. Ma aveva dimenticato di dire che sulle aree da risanare sarebbero sorti interi quartieri residenziali, la cui costruzione avrebbe arricchito suoi amici, parenti ed amanti.
Il vescovo di L. A. amava molto i bambini; fino alla pedofilia.
I rifiuti radioattivi sarebbero stati smaltiti nei “campi di accoglienza” riservati alla gente delle periferie.
Era stata appena approvata una legge che “sospendeva” la Costituzione ed i diritti civili onde “sviluppare ulteriormente il mercato.”
Era previsto il ripristino della pena di morte e la cancellazione del reato di tortura.
A fini di “prevenzione sociale” si stava chiudendo il 40% delle scuole.
E più Joe scavava, più marcio trovava.
Per questo la mattina del 23 dicembre inviò alla giunta comunale della città un biglietto d'auguri la cui scrittura, appena entrata a contatto con l'aria, fece esplodere il municipio, che saltò in aria col sindaco, decine di consiglieri e tutte le loro collezioni di fruste, manette, pistole e provviste di cocaina.
La notte di Natale il mio telefono squillò alle 4 del mattino. Io ero sveglio, stavo preparando una lezione su Kierkegaard ma avevo avuto una giornata pesante, perché non avevo aiutato mia moglie a cercare il pastorello che nel presepe, cerca i cardi selvatici.
Al telefono era Joe. Mi disse che aveva deciso d'entrare in clandestinità, anche perché si era messo alla testa di certi messicani che volevano riunire la California al Messico.
Da allora è passato un anno e non l'ho più visto né sentito. Lui era Joe Evans, investigatore comunale.
Purtroppo la lezione andò male: il pronipote del presidente Bush non aveva nessuna inclinazione per la filosofia. Così persi la cattedra all'università e fui internato in manicomio.
Ed è da lì che scrivo, o meglio, dal blog del reparto.
Ma Joe può stare tranquillo: nessuno userà mai come prova contro di lui quello che scrive un pazzo.
E comunque, buon Natale a tutti!





sabato 19 dicembre 2015

Scusa, ti richiamo!


Scusa, ti richiamo!, è la risposta che certi danno quando non hanno voglia di sentirci.
O quando vogliono farci credere d'essere occupati. Perché molte volte non hanno proprio niente da fare, ma non hanno il coraggio d'ammetterlo... né con noi né con se stessi.
Be', forse a volte sono davvero occupati; ma allora, perché Satanasso non spengono il telefono?
Secondo me perché vogliono far sapere che appunto sono occupati. Cercate di capirli, poveretti: loro hanno così tanto da fare e noi come ci permettiamo di non saperlo? Forse fa parte del loro durissimo sgobbare il fatto di farci sapere che non hanno un attimo di respiro.
Perciò ci richiameranno, su questo non dobbiamo nutrire alcun dubbio. Questo annuncio di futura chiamata è proclamato con voce metallica e tono quasi intimidatorio; di sicuro, parecchio infastidito.
Solo, non si sa quando ci richiameranno. Né possiamo chiederlo: sarebbe considerato segno di maleducazione.
Del resto, non appena iniziamo a dire: “Sì, ma scusa, io vorrei sapere se...”, loro ci chiudono il telefono in faccia.
E non richiamano.
Mai.
Per niente al mondo.
Ho notato (e l'ha notato anche la mia faccia, ormai parecchia tumefatta) che di solito si comportano così: ufficiali; banchieri; ecclesiastici; commercialisti; avvocati; professori universitari; medici; funzionari di enti pubblici e/o privati; belle ragazze; idraulici.
Non è quindi questione di colore della pelle, religione, età, sesso, professione ecc.
Ma c'è qualcosa che accomuna tutti questi tipi umani: il potere.
Per motivi spesso discutibili o casuali, ognuno di questi tipi si trova al di sopra di tanti altri.
Ma voi ce lo vedete un operaio, un ragazzo o una ragazza di call center, un lavapiatti, un contadino, un precario della scuola, un soldato semplice, un piccolo impiegato, un disoccupato, un immigrato o chi volte voi, a rispondere così?
Sì, qualche P.U. (perla umana) potrà anche essere occupata. Ma potrebbe comunque risponderci in modo meno sbrigativo e diciamolo pure, sprezzante. Il sapere però d'avere il coltello dalla parte del manico fa sentire certe persone dei padreterni.
Perché certo, anche a parte tutto questo, c'è qualcosa che sta alla base di certi comportamenti: la semplice, volgarissima maleducazione. Che non necessita di ulteriori aiuti, sia pure tecnologici.


sabato 12 dicembre 2015

"Houdini. L'ultimo mago",di Gillian Armstrong (2007)


Per me è difficile collocare il film, girato dalla regista australiana G. Armstrong, in un genere definito. Benché il protagonista sia l'illusionista o mago Houdini, la magia e l'illusione non sono tutto il film.
Intanto, va detto che nel corso della sua vita Houdini ha fatto tante cose: è stato aviatore, attore, regista: per es. ha lavorato con Melliès, il grande regista francese. Ed è stato anche “mago”, certo.
Probabilmente su di lui sono stati girati tanti films, ma prima di questo io ne ho visto solo uno, protagonista Tony Curtis: si intitolava Il mago Houdini (1953) e si basava anche sul rapporto del mago, figlio di immigrati ungheresi negli Usa, con la madre.
In effetti, riprende questo tema anche la Armstrong. Solo, lei assegna un ruolo centrale anche a Mary Mc Garvie, una donna che con la figlia, la piccola Benj (Saoirse Ronan) vive di espedienti e soprattutto, cerca di farsi passare per una grande medium.
Sia il vero “mago” sia quello presentatoci dalla Armstrong furono sempre ossessionati dalla figura della madre o meglio, dal rimorso per non essere stato presente al momento della sua morte...
Nel film con Curtis (il cui regista era George Marshall) la madre di Houdini appariva come una donna piuttosto fredda, autoritaria, inflessibile: soprattutto per quanto riguardava le scelte sentimentali del figlio, a cui non perdonava l'amore per una donna non ebrea.
La Armstrong non fa comparire mai la madre del mago, però lei è sempre presente: il figlio è infatti disposto a pagare ben 10mila dollari a chiunque possa rivelargli le sue ultime parole in punto di morte. Questo dato corrisponde poi alla realtà: Houdini, che conosceva vari trucchi, smascherò in questo modo molti imbroglioni.
Bene, la regista fa arrivare Houdini ad Edimburgo, in Scozia (altro fatto realmente accaduto) affinchè possano essergli rivelate le ultime parole della madre.
Ma l'incontro con Mary si rivelerà fondamentale: anche perché egli dovrà affrontare una realtà che non conosce o che addirittura teme... quella dell'amore.
La Armstrong e i suoi sceneggiatori (Tony Grisoni e Brian Ward) ci presentano un uomo tormentato dal senso di colpa come uomo e come figlio, pieno di dubbi e di speranze circa l'aldilà, attratto ma anche spaventato dalla prospettiva dell'adulterio, talvolta quasi rozzo eppure affascinato dall'arte ecc. ecc.
Un uomo che cerca sempre di superare i suoi limiti: quelli fisici come quelli mentali, ma questo non per dimostrarsi un superuomo, quanto per cercare di sconfiggere ciò che lo tormenta.
La recitazione poi di Guy Pearce (Houdini) e dell'incantevole Catherine Zeta-Jones (Mary) è molto naturale, così come quella di Saoirse. I tre sono un grande e credibilissimo terzetto.
I dialoghi sono di buona qualità letteraria ma per niente cartacei.
Talvolta, certe battute sono, nella loro lapidarietà, naturali... come quando Benj dichiara: “Spesso l'amore porta dolore e qualcuno viene messo da parte.”
Talaltra, il tema del legame tra l'amore, l'adulterio e le convenzioni sociali è affrontato con grande spregiudicatezza ed onestà. Per es., di fronte alla prospettiva di tradire la moglie, Houdini, dice a Mary che ciò: “E' scandaloso.”
Lei: “Scandaloso? Chi lo dice? Non è scandaloso. E' quello che fanno gli uomini e le donne. Lottiamo contro l'inverno che è in noi, contro la solitudine. E a volte, se siamo fortunati, abbiamo la possibilità di provare, anche solo per un attimo fugace, il vero amore.”
Lui: “Hai mai provato il vero amore?”
Lei: “No. Dicono che è facile, che è come cadere.”
Certo, questa caduta può essere un bene o un male: non a caso, in inglese, innamorarsi si dice to fall in love, che letteralmente significa cadere in amore.
Comunque per me questo film intreccia con una certa maestria molti e complessi temi.
E come scenario la Edimburgo notturna è davvero intrigante: un complimento anche a lei, oltre che agli attori, alla regista e agli sceneggiatori.
Ora non vi resta da fare che la cosa migliore: cercare il film.
E godervelo.